Credo proprio di essere nato sotto il segno della Margherita con ascendente Marinara ma, al di là di ciò, certe serate mi coinvolgono a pieno, mi appassionano, mi lasciano tanto oltre ai sapori…

Dovrei giusto appunto parlavi della serata trascorsa da Pizzeria Gorizia 1916, intrisa di magia, ma meriterei l’ergastolo se prima non vi raccontassi (anche se non serve la mia parola) del padrone di casa, il caro maestro Salvatore Antonio Grasso.

Quando mi sale la “voglia di Gorizia” a via Bernini, lo becco spesso con le mani in pasta, “perché ho bisogno di accarezzarla” – vi risponderà – “di sentirne la fragranza…”
Una passione inebriante, romantica, come un poeta con la sua amata… Una persona viva, briosa, schietta… a tratti teatrale, nel senso buono del termine, anima vera di ogni singola creatura che esce dal suo forno, occhi sinceri che esprimono una sana malinconia di quel passato fatto di storia autentica.
Qualche pizza fa, nel suo locale, mi salutò con una meravigliosa promessa: “Un giorno di questo ti farò assaggiare la pizza di una volta!”
…e finalmente, il maestro ha azionato la macchina del tempo.
“Back to the ‘60s – Pizza Antica vs Pizza Contemporanea” il tema della serata, un signor viaggio nel tempo alla riscoperta di quelle percezioni primitive, ancestrali, basate sulla genuinità dei concetti e sulla semplicità delle tecniche.
Così nasceva l’impasto di una volta: forgiato a mano, senza l’aiuto di impastatrici, con un misto di farina italiana e manitoba e un ingrediente segreto (che poi segreto non è), la pasta di riporto, il “criscito” per gli amici. Una porzione d’impasto da pizza avanzato da una lavorazione precedente e riutilizzato come aggiunta in un nuovo impasto. Mi racconta Salvatore, che, talvolta, lo utilizza anche per le sue pizze “contemporanee”, un po’ per tradizione, come sorta di rito, un po’ per buon augurio ma il suo utilizzo non è per niente scontato: apporta acidità all’impasto, accelerando la maturazione e conferendo un plus di aromi; per questo motivo va calibrato con attenzione.
Pomodori San Marzano schiacciati, spremuti grossolanamente con le mani (una visione idilliaca), fiordilatte tagliato a tranci con la stecca (ne percepisco ancora quel suono cadenzato) nel caso della Margherita, aglio e origano per la Marinara…
E via nel forno dove la temperatura veniva innalzata vertiginosamente con l’ausilio delle “pampuglie”, in gergo la “botta di calore” per permettere al cornicione, meno ricco di acqua, di dorarsi e pronunciarsi.
Profumi e suoni senza termini di paragone: il cornicione parla, scrocchia, il pomodoro si sposa talora col latticino talora lo tradisce con le spezie…ma il risultato è esso stesso un viaggio!

Marinara anni 60′ 
Margherita anni 60′
Una pizza dai toni Proustiani, dalle pennellate Courbetiane, che ti strabuzza i pensieri, nonostante eventuali imperfezioni, perché ripercorrere la storia fa bene al cuore, fa bene all’anima, fa bene alla modernità della pizza stessa e soprattutto fa bene a un popolo, quello napoletano, che non può prescindere da essa!

Margherita 
Marinara
Arrivano poi le Margherite e le Marinare “contemporanee” ma mi è impossibile svelare quale ho gradito di più: io drogato di pizza, come per un genitore dichiarare il figlio preferito!
Mi sento però di affermare a piena voce che la preziosità del passato va preservata e tramandata, come del resto la preziosità dell’arte e della gentilezza di Salvatore…
Grazie di cuore, all’uomo e al maestro!






