L’Esigenza.
Ci sono luoghi che si donano con totale spontaneità e quell’esperienza si trasforma in un bisogno, una necessità innata.
Casa Caponi, Torre Annunziata (Na).
Pizzeria con cucina, che calpesta la storicità di Palazzo Fusco, un podere del ‘700, palcoscenico gemello del fim Totò, Peppino e la Malafemmina. Alle pareti citazioni, la famosa lettera, le “stanze” ispirate ai protagonisti, addirittura la Mezzacapa con tanto di finestra dai vetri rotti.
Un posto vivace, acceso, vivo… che serba nel cuore la più recondita delle atmosfere.
La grotta di Casa Caponi, la bellezza negli occhi di chi guarda.
Un solo tavolo, pochi coperti, vini dintorno. Eremitico piacere.
Qui ho incontrato la gioia del silenzio, la pacatezza elegante di Vincenzo Pagano, pizzaiolo per caso dalle idee chiare, il riserbo del servizio, la leggiadria di un impasto moderno che scandisce il tempo che finalmente scorre lento.
Ode ai profumi, al pomodoro buono, al relax culinario. Degustazione.
Il benvenuto è fritto.


Una pepita che ospita un mash up ruspante di incontri aromatici; l’elenco è d’uopo: patate al rosmarino, funghi porcini, provola d’Agerola, petali di pecorino di Moliterno al tartufo e lardo di Colonnata. Boccone paradisiaco, merita una proposta. Mi informano che già esiste… Ho detto tutto!
Frittatina allardiata che si diluisce nel mare magnum di sugo. Spaventosa illusione, cuore delicato e scarpetta obbligata. Riccanza.


La Vesuvio borbonica è un diffusore per ambiente. I pomodorini gialli a pacchetelle, del Piennolo e confit gridano di profumo, la stracciata di bufala abbraccia, la riduzione di basilico aromatizza, la cottura fritto-e-al-forno scrocchia. Si dice tripudio…


La Mammà conquista, certe dediche sono così. Margherita con ordine inverso: bufala in cottura e all’uscita polpa di datterini arrosto. La mia prefe. Stechiometrica, ancestrale con esaltazione perfetta dell’impasto. Patrimonio dell’umanità.


Il Calzone fritto è luculliano. Doratura persistente, asciugatura precisa e ripieno bianco strabordante di cicoli, ricotta di fuscella e basilico. Autoctono.


La Napoletana del Vesuvio è una marinara che ce l’ha fatta. Mix di oro rosso, San Marzano e Piennolo, alici di Cetara, capperi di Pantelleria, olive nere itrane, aglio rosso di Nubia, origano paesano. Il sentimento, insomma, confort food partenopeo, con l’ennesima cottura indovinata. Signature.


La Genovese racconta una ricetta piena di sfumature. Stracotto di gallinella, muscolo e cipolle di Montoro; c’è il suino, il parmigiano. Molti soliti d’autore per un coro decisamente timido.

Opperbacco. Arriva lei…
Montanara dolce con mousse di ricotta alle mandorle, caramello salato, granella di burro d’arachidi, mandorle tostate e menta. Se non ti lecchi le dita godi solo a metà. Forever young! Un universo fantasy dalle combinazioni mistiche. Non è foodporn ma droga raffinata. Overdose.
Esperienza che lascia un segno.
Oggi lo chiamano casual dining, che significa uscire a mangiare bene senza troppi sbatti.
Messaggio chiaro: solo cose semplici fatte con grazia.
Sisi, tutto questo per me si chiama Esigenza.