La cucina umbra può non passare inosservata.
E una viva esperienza orvietana esige l’abbandono del centro, uno zigzagare di curve sulle colline e una doverosa sosta da Ristorante Da Gregorio.
Frazione di Morrano Nuovo (Terni).
Un caseggiato, un’insegna d’altri tempi e, soprattutto, col calar del buio, una pennellata di nebbia sulla vallata.
Qui l’ospite diventa sacro e l’accoglienza il vero lusso; protagonisti la famiglia Fontanieri: papà Fausto e mamma Francesca, insieme a Davide, raccontano un territorio fatto di ricette storiche, essenziali con una dose furibonda di grazia e bontà.
Location minimal; eppure, i sensi vanno a nozze con certi rituali. Il suono del taglio del pane fresco, il profumo dei piatti che facevano da scia, la cottura flambé che disegnava scenografie dalle vetrate della cucina.
Esperienza immersiva completamente analogica dove la pasta fresca, le verdure e i dolci sono tutti della casa. Nella comfort zone di autenticità, un menù da alta cucina contadina, di ricerca nella tradizione, di pensiero e di gusto.
L’entrée è Guancialismo applicato (su bruschetta) sfumato con aceto e profumato alla salvia. Semplicità ricca e intesa. La Vellutata di verdure arriva voluttuosa direttamente dall’orto.


Innamorato delle Pappardelle, del Ragù e del Cinghiale. Manifattura sacra. Belle saporite, equilibrate. Stesso fil rouge le Polpette di cinghiale con crema di porri ed erbe. Richiami su richiami, piatti pieni, veri, porzioni e sapori non volutamente spinti per colpire.


Poi l’eleganza della Faraona marinata con fermento di mandorle e cotta alla cacciatora con bergamotto. Un passo diverso, un concetto strutturato che si articola tra note aromatiche, amare e pelle croccante.


lo ci vedo un segnale e una corrente di controriforma agli eccessi e alle stravaganze.
Un Ristorante, senza bisogno di ulteriori definizioni e che serve cucina classica, ben eseguita, regionale. Nessun finto chic/gourmet, sovversivo nell’alta qualità della materia prima.
La timidezza di una perfezione autentica che lascia il ricordo. Io la chiamo bellezza.