Pagani (Sa).
Come una navicella spaziale atterrata per sbalordire. Una fantascientifica astronave che viaggia ferma nel tempo al centro di numerosi buchi neri.
La scritta vintage, color arancio psichedelico, conduce i sensi in quel multiverso fatto di forme di vita straordinarie.
Cinquanta – Spirito Italiano.
Se non ti innamori di un posto così, c’è un problema con i sentimenti.
Tutto sarà extra-ordinario.
Stringete ogni speranza, voi che entrate.
Un bancone che gira dintorno, vivo, ordinato subbuglio di bartender e collaboratori di sala che coccolano meglio di una spa. E poi quell’invito che sbrilluccica, vestito di giallo, che sa di bello, di filosofia di vita, di totale abbandono in mani rassicuranti. “Lasciati andare”, la felicità.
Come il Casa Maria di benvenuto. Vodka alla provola, pomodoro pelato e passata di pomodoro Casa Marrazzo chiarificati, salsa di soia, tabasco e basilico. Idilliaco. Come un dashi di Provola e pepe, come bere una margherita alcolica. Geni.


Navigo nella precisione di questo bar stile anni 50/60, dal profilo nazional popolare, vera casa dell’italiano medio, dove respirare dall’alba al tramonto per sfuggire dalla frenesia del quotidiano. Vita lenta, guagliu’!
Corre forte, invece, la cucina. Al timone fluiscono estro ed energia incontenibili di Alessandro Tipaldi aka Ingordo. Seguitissimo foodblogger, illuminato dalla personalità affilata e cristallina degli chef navigati. Le sue idee sorvolano le vette dei drink.
Brividi di goduria già con le Fifty nuggets. Succose, croccanti col cuore che parla di pollo allo spiedo.
L’euforia liquida ritorna con il Death in the afternoon, Riesling Alsace Dopff & Irion, assenzio La Fée, Angostura Orange. Alchimia tra spinta acida e aromaticità che esalta certi giochi enigmatici: tendenza dolce della Tartare di manzo che si sente Tonnata o del Pane, pomodoro e (carpaccio di) scottona (selezione Baraonda).


Poi una corsa di rivisitazioni pirotecniche dal calibro imperante. Crispy nice, chips allo zafferano con tartare di tonno, stracciatella e pomodorino semisecco. Un gianduiotto dalle geometrie meneghine. Riccanza ingorda e goduriosa per la Parmigiana in carrozza, un signature dish per Ale. Mousse e straccetti con provola di parmigiana, custoditi in pane in cassetta panato e fritto. Empireo crunchoso e giravolte palatali. Fotonica.




Superbi gli spiedini di Polpo e patate laccati con spezie. Benessere battagliero. London Calling, per soddisfare il mio immaturo bisogno dolce, con Gin Bombay Premier Cru, sherry Tio Pepe Palomino Fino, succo di limone, zucchero e Angostura Orange. Mio prefe.
Poi i pantagruelici padellini. No, non siamo in pizzeria! No, non bestemmio, ma le strutture di Ale mi hanno riportato a San Bonifacio, da un certo Padoan. Seri, anzi serissimi, con mollica morbida, soffice, ma con un fondo croccante e bordi quasi “fritti”. Sospeso, come un giudizio che tocca traiettorie inaspettate, e venerazione totale.


Una sorta di beatitudine territoriale il Paganese, multi cereali ripieno di carciofo (infornato, semisecco e messo in conserva), primosale leggermente stagionato e pancetta di Rubia Gallega (selezione Baraonda). Lodevole.


La festa del pomodoro il Cosacca 2.0, con pomodoro arrosto ridotto in crema, parmigiano 36 mesi, fonduta di grana e salsa al basilico. Maestria, affabilità e concretezza. Innamorarsi senza inibizioni. Il No, woman, no cry! (Casamigos Blanco tequila, Italicus, pompelmo rosa, kiwi) accompagna con un savoir-faire invidiabile.
Per dessert un’arcaica novella paesana, la Pizza di Gallette al Limoncello Nazionale che glorifica il lessico familiare nella sua accezione più nobile. Delizia al Limone liquida (Gin Bombay, Limoncello Nazionale, liquore al cacao bianco e panna fresca) eppure 4D. Rapito.

Alfonso Califano e Natale Palmieri hanno disegnato un gioiello che estrapola dal passato concetti totalmente futuristi. Densità di pensiero e contenuti fuori dal comune, con principi antropocentrici. Il marchio d’accoglienza ricamato sul cliente e un’offerta gastronomica no-frills. Caspita se mi lascio andare…