Luca Siano.
Partiamo da qui.
Nome e cognome in questa storia vanno messi in bellavista.
“Ne sentirete parlare…”, si diceva ai miei tempi.
Nell’epoca in cui si parla parla parla e sembra che si sia già detto tutto, Luca racconta “la sua” in punta di piedi servendosi di pirotecnici effetti wow. La gioia sta tutta qui: chi-cerca-trova, le buone nuove esistono e gridano con cognizione di causa.
Noi,
provinciali dell’Orsa Minore,
alla conquista degli spazi interstellari…
San Valentino Torio. Si certo, provincia di Salerno.
Si sfiora l’Agro Nocerino sarnese ma il vesuviano si tocca con un dito.
Dec1m0. Pizzeria.
Un dieci mimetizzato che non è solo un numero. Bello leggere certe biografie dal menu.
Quando poi i piatti arrivano, beh, si approfondisce!
Ho letto di meticolosità costante, di niente lasciato al caso, di materia, armonia nella ricerca dell’equilibrio e una scellerata passione per gli impasti.
Moderno, dal sapore senza nostalgia.
Performante nella cottura, che supera la coraggiosa prova della Provola e pepe.


La mia idiosincrasia per la fritta/al forno viene spazzata via al cospetto della Concept di Marinara. Base x Altezza che lasciano il ricordo. Asciuttissima, priva di sentori di untuosità, dal crunch beneducato. Nobiltà superficiale: San Marzano arrosto, datterino confit, aglio nero di Voghera, olive nere leccino, capperi di Pantelleria, alici di Menaica. Microcosmo stratosferico come quello nella testa di Luca.


La pala qui è circolare ma scrocchia lo stesso. Rita in pala è un altro bel lavoro. Capricciosa degna della nouvelle vague, bella e centrata, in una dimensione universale. Cardoncelli e prosciutto cotto giocano il ruolo da protagonisti. Impeccabile crok.


La Un Cacciatore nel bosco cambia registro. Impasto classico che si fa piatto. Ragù di cinghiale, cervo e lepre, cremosità selvaggia. Tendenza dolce, umami che si amplifica con i porcini cotti al vapore. Consistenze. Intensità aromatica del pecorino di Fossa. Spinta. Nota amara, minerale dello zafferano. Una composizione lucida e affilata ma inaspettatamente delicata. Enigmatica.


Ritorno al crunch fritto/al forno con umami marino. Un vortice di panna acida, pioggia di salsa di prezzemolo e crema spalmabile di ragù di polpo. L’octopus c’è, ma non si vede. È tutto sapore concentrato, nitido. La fraîche sgrassa e la base è il duplicato perfetto. Applausi.


La Four cheese esprime la coralità dei formaggi giusti (fonduta di caciocavallo, blue di bufala, parmigiano reggiano, chips di parmigiano) e una dosatissima quanto ammaliante confettura di fichi del Cilento. Promossa.


Il fine pasto si fa dono. Fuori menu che disegna le capacità del padrone di casa. Padellino brioche profumoso e morbidoso, che ruba la scena al topping e lo pretendi in forma di pagnottelle confezionate per la colazione. Incantevole.

Bravo Luca, i grandi di domani sono i ragazzi che hanno capito (ieri) l’importanza della costanza e di certe alchimie con un’identità propria già scritta.
La bellezza di guardare ai maestri di oggi, è che, sbirciando alle loro spalle, si riconoscono già belli e pronti i maestri di domani.