C’è una mano esperta ed elegante che silenziosa delinea figure precise che abbracciano profumi, grazie, ricordi e sostanza.
Salerno, a pochi passi dal lungomare. Pizzeria Don Antonio 1970. Prendi un locale e metti tutto quello che è davvero necessario. Mood stile ambient, modernità raffinata, servizio tanto svelto quanto gentile, idillio nei piatti messo in scena da un grande artigiano.
Un posto super figo omaggio affettuoso al nonno di Fabio Di Giovanni, una delle forme di pizzaiolo più atipiche che conosco. Veterano umile e quieto, una bella anima dell’arte bianca.
Fabio è come quella gocciolina che cade piano, senza fare troppo rumore, ma con costanza cade senza smettere. Modella le sue forme con la naturalezza e l’entusiasmo di un bambino e le incastra in armonia come tessere di un puzzle.
ConForme, il suo menù degustazione di sei portate, si fa manifesto di pizzaiuolo vivido e consapevole. Modernità e tradizione si mescolano ai flash back palatali dove l’olfatto si fa centro di gravità.


Gli esordi conoscono la sofficità delicata del Bao fritto e al forno. Un soffio di aria fresca dove la scarola cruda sposa l’umami salmastro del baccalà mantecato e la spinta acida della mayo di papacella. Promesse da premesse.
La giostra si fa crunch con la Ciabattina con farine di tipo 1. Una struttura eccelsa con la doppia dose di polpette al pomodoro che si fa giuoco domenicale, atavico. Piatti nostri, delle nostre famiglie, di ciò che amiamo trovare.


Nuvole e mollica intensa dalla superficie che inebria. Concentrato ai 3 pomodori, origano di montagna e olio evo. Ebbrezza olfattiva e un morso che scompare. Ricordo di un forno è il padellino comodo e confortevole che distende i sensi.


La Provola e pepe si presenta in pompa magna con la pioggia di spezia macinata a tavola. Geometrie da ruota di carro mentre impazza una luce strepitosa. Il morso esprime fragranza e la cottura merita la lode. Cartolina partenopea.


Il fuori programma è l’autoctona Carminuccio. Simbolismi e materia. Le origini di Fabio col suo presente. Pomodoro, formaggio, pancetta e basilico. Una sorta di amatriciana dal protocollo nato a Mariconda. Stechiometrica, aromatica, cotta.


L’impasto, diretto con farine 0 e 1, si mostra nella sua veste contemporanea. Tonda che scompare come Cenere. Umami di pancia di maiale cbt, crunch costante di porro fritto, cremosità di patate cotte sotto cenere, porro bruciato ad allungare. Due spruzzi di aceto di riso a diluire la tendenza dolce. Dinamiche da piatto.


Una cialdina al cioccolato e lampone ghiacciato cambia il registro. La provetta con infuso al basilico amplifica. Di solito qui è convivialità di benvenuto. Finale da impasto crunch alla nocciola con mousse di ricotta e confetture di pere. Precisa, dosata. Zero variazioni sul tema.
Felice quando trovo pizzerie “che spingono”, ma sono ancor quando trovo pizzerie che vivono. Fabio è quella goccia di cui sopra, capace di scavare nella roccia della memoria..